giovedì 24 settembre 2009

taralli 'nzogna e pepe


Da dove nasca la parola tarallo, non si sa con certezza. Per cui si sprecano le ipotesi: c’è chi dice dal latino “torrère” (abbrustolire), e chi dal francese “toral” (essiccatoio). Facendo riferimento alla sua forma rotondeggiante, qualcuno pensa che tarallo derivi invece dall’italico “tar” (avvolgere), o dal francese antico “danal”, (pain rond, pane rotondo).
La tesi più attendibile vuole peraltro che tarallo discenda dall’etimo greco “daratos”, “sorta di pane”. Se non è chiaro da quale etimo nasca il tarallo, si sa invece dove cresce: sotto un panno che ne favorisce la lievitazione. E soprattutto si sa quando il tarallo si è diffuso, e perché.
Matilde Serao, che tanto ha scritto su Napoli, e sul tarallo partenopeo, nella sua famosa opera “Il Ventre di Napoli”, descrive i famosi “fondaci”, le zone popolari a ridosso del porto, brulicanti di una popolazione denutrita e di conseguenza famelica. Il Ventre di Napoli era pieno di gente, ma il ventre di quella gente era spaventosamente vuoto. A riempirlo, dalla fine del 700, ci provavano (e spesso ci riuscivano) i taralli.
Dove non c’è quasi nulla, nulla si distrugge, e tutto si crea. Così i fornai non si sognavano neppure di buttare via lo ”sfriddo”, cioè i ritagli, della pasta con cui avevano appena preparato il pane da infornare.
A questi avanzi di pasta lievitata aggiungevano un po’ di “nzogna” (la sugna: in italiano, lo strutto, il grasso di maiale) e parecchio pepe, e con le loro abili mani riducevano la pasta a due striscioline. Poi le attorcigliavano tra di loro, davano a questa treccia una forma a ciambellina, e via nel forno, insieme al pane.
All’inizio dell’800 il tarallo “’nzogna e pepe” si arricchì di un altro ingrediente che tuttora ne è parte integrante: la mandorla. Non si sa chi l’abbia presentata per primo al tarallo, ma chiunque sia stato, merita la nostra gratitudine: il sapore della mandorla va infatti a nozze col pepe.



Ingredienti e dosi per 5 persone:
  • farina: 500 gr.
  • strutto,sugna: gr. 150
  • lievito di birra: 1 cubetto da 30 gr.
  • mandorle con buccia: 200 gr.
  • pepe nero: 2 cucchiaini
  • sale: 2 chcchiaini
Preparazione:
Sciogliete il lievito con un dito d'acqua tiepida e aggiungilo a 100 gr. di farina, impasta, forma un piccolo panetto, incidilo a croce sulla superficie e mettilo a lievitare in una ciotola.
Quando avrà raddoppiato il volume, aggiungete il sale, il pepe, la sugna (così com'è senza scioglierla) il resto della farina e tanta acqua tiepida quanto basta per ottenere un bel panetto da lavorare sopra il piano di lavoro.
Lavoratelo almeno per 10 minuti e poi stacca tanti pezzetti da formare dei bastoncini grossi come una matita, e lunghi circa 15 cm.
Unite i bastoncini, attorcigliali su se stessi e uniteli a ciambella. Decorali con le mandorle e metteteli a lievitare, quando avranno raddoppiato il volume infornali a 180° fino a cottura completata cioè quando saranno belli dorati.
Questi taralli si conservano per molti giorni se chiusi ermeticamente.


Per la sua caratteristica di cibo povero, il tarallo si consumava nelle osterie accompagnato a del vino spesso assai poco pregiato, mentre oggi è uno spuntino diffusissimo, consumato come aperitivo, che si può acquistare fresco nelle panetterie e nei chioschi: è un classico comprare i taralli a Mergellina, nei chioschi del lungomare, e sgranocchiarli passeggiando.

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